Cresce in maniera impressionante il numero di giovani con problemi mentali legati alla pandemia tra il silenzio del governo
Il protrarsi dell’emergenza coronavirus ed il lockdown hanno prodotto degli effetti devastanti sull’equilibrio mentale della popolazione soprattutto tra i più giovani. Un argomento sottovalutato dalla politica che rischia di condizionare le future generazioni. Secondo gli studi condotti dall’università di Torino si è osservato tra la popolazione un aumento di ansia, depressione e stress post traumatico collegati al covid. Per il governo italiano il problema non sembra essere prioritario, visto che non ci sono particolari valutazioni in corso ne piani nazionali di sostegno psicologico per la popolazione messa a dura prova dalla Pandemia. Ma quali sono le conseguenze di tutto questo?
“Uno dei problemi ancora difficile da risolvere – psichiatra Narciso Mostarda che da oltre 180 giorni sta gestendo da direttore generale l’emergenza coronavirus in un Asl della Regione Lazio – è la convivenza tra distanziamento sociale, necessario al contenimento dei contagi e la limitazione delle relazioni sociali che sta generando un crescente disagio psicologico nelle persone. I grandi cambiamenti del presente e la paura del futuro sono in grado di alimentare sentimenti di angoscia, che in alcuni casi diventano clinicamente molto evidenti. Stiamo rischiando di compromettere lo sviluppo sano di intere generazioni. Il rientro a scuola è la grande sfida, uno dei temi più grandi che ci vedrà impegnati nel trovare il giusto equilibrio tra distanza sociale e mantenimento delle relazioni di vicinanza. Nel nostro paese il mondo della scuola, ha sempre fornito grandi prove nei momenti più difficili. Confido nel fatto che i giovani e i giovanissimi sapranno continuare a mantenere comportamenti responsabili. Ogni studente che assume un comportamento rigorosamente responsabile è come se fosse un operatore in più al servizio del sistema sanitario nazionale. Auspico che la necessità di trovare nuove strategie relazionali, possa rapidamente coinvolgere tutti i professionisti della salute e della promozione del benessere.”
Gli studi Italiani
In Italia sono stati condotti durante la pandemia due studi dal gruppo di ricerca “ReMind the Body” coordinato dal professor Lorys Castelli del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, che hanno evidenziato un’elevata percentuale di individui che presentano sintomi di ansia e depressione clinicamente rilevanti. Entrambi sono stati recentemente pubblicati sulle riviste The Canadian Journal of Psychiatry e su Journal of Evaluation in Clinical Practice. Su un campione di 1321 partecipanti provenienti da diverse zone d’Italia si è osservato che rispettivamente il 69% e del 31%, erano accompagnati da un’elevata prevalenza di sintomi da stress post-traumatico. Il secondo studio è stato eettuato invece su un campione di 145 operatori sanitari che hanno lavorato nei reparti Covid-19, dove si è osservato come lo stato depressivo dei primi, fosse più alto rispetto a quello di chi non era entrato in contatto con persone positive al coronavirus. Un altro studio è stato condotto dall’istituto pediatrico Gaslini di Genova che ha realizzato un sondaggio a circa tre settimane di distanza dal “lockdown” a cui hanno aderito 6800 soggetti da tutta Italia. Dall’analisi dei dati relativi alle famiglie con figli minori di 18 anni a carico (3251 questionari) emerge che nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18), sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di regressione. Nei bambini e adolescenti (età 6-18) i disturbi più frequenti riguardano disturbi d’ansia come la sensazione di mancanza d’aria e i disturbi del sonno quali dicoltà di addormentamento e al risveglio per iniziare le lezioni per via telematica a casa. In particolare, in questa popolazione si osserva una significativa alterazione del ritmo del sonno con tendenza al “ritardo di fase” una sorta di “jet lag” domestico.
Lo psichiatra Fabrizio Starace, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Modena e presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, non ritiene gli studi Italiani finora
effettuati rappresentativi della popolazione
“In Italia la salute mentale è in coda rispetto alla lista delle priorità. Abbiamo una serie di informazioni martellanti sui numeri dei casi positivi ed abbiamo tralasciato questo aspetto fondamentale influenzato dalla situazione pandemica e che ha innescato anche quella socio economico. Ci sono delle oggettive difficoltà per il rientro a scuola. Proviamo ad immaginare non solo il microcosmo della scuola, ma anche il macrocosmo dell’ambiente famigliare dove la perdita del lavoro di un genitore si ripercuote sull’equilibrio del figlio, compromettendo anche la capacità di avviare in maniera fruttuosa l’anno scolastico che parte già tra mille problemi. Le indicazioni del Cts sono interpretate dalle Regioni e dai comuni più o meno in maniera restrittiva. Certamente l’uso della mascherina per tutto l’orario scolastico è un impegno gravoso. Sarebbe stato meglio il distanziamento e le lezioni telematiche. La mascherina copre il volto, che è la parte corporea che più ci caratterizza e che verrà a mancare. Il negazionismo dei più giovani e la mancanza di rispetto delle norme anti Covid è un modo di affermare la loro identità, come succedeva anche prima dell’emergenza. Io non voglio psichiatrizzare queste reazioni comprensibili della popolazione, ma voglio segnalare l’aumento delle disuguaglianze sociali accentuate dalla Pandemia, che hanno creato elementi di maggiore vulnerabilità. Serve un quadro generale non solo del post lockdown, ma anche un’analisi dell’ansia di inizio scuola di figli e genitori. Nei talk show tutti si sentono titolati a sparare sciocchezze. La salute mentale è posta in coda all’attenzione istituzionale. Una scarsa considerazione che c’era anche prima del covid, ma che oggi avvertiamo di più. In tutti i Piani internazionali dell’emergenza covid-19, tra i primi punti c’è la salute fisica che è la prima aggredita dal virus e poi la capacità di adattamento e di resilienza allo stato pandemico. Occorre rendere più semplice la comunicazione istituzionale che è cruciale durante gli stati di emergenza. Bisogna evitare attese salvifiche deluse il giorno dopo, come il vaccino che potrà essere utilizzato solo dalla fine dell’anno prossimo e non da domani come sembra in tv. Dobbiamo avere un quadro della realtà con la quale ci stiamo misurando, ma non ne sappiamo nulla. Gli studi effettuati sono limitati, assolutamente non rappresentativi della popolazione generale. Perché non si adotta il medesimo approccio scientifico per i test di sieroprevalenza effettuati dall’Istat? Possiamo valutare il domani solo valutando quello che sta succedendo oggi.”
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