Le radici del disturbo bipolare
I neuroni dell’ippocampo delle persone affette da disturbo bipolare sono ipereccitabili e rispondono con una forte attivazione anche a stimoli che non provocano reazioni nei neuroni di soggetti sani. La scoperta ha permesso di dimostrare la radice cellulare del disturbo e aperto la strada per capire perché alcuni pazienti rispondono alla terapia con il litio e altri no.
I neuroni di pazienti con disturbo bipolare, una patologia caratterizzata da violente oscillazioni fra uno stato di depressione e uno di esaltazione maniacale, sono più sensibili agli stimoli delle cellule cerebrali delle altre persone. Inoltre la mancata risposta di alcuni pazienti alla terapia con il litio, il farmaco di riferimento per la cura di questo disturbo, è legata a specificità proprie di questi neuroni. A dimostrarlo è stato un gruppo di ricercatori del Salk Institute e della Tsinghua University a Pechino, che firmano un articolo pubblicato su “Nature”.
Il disturbo bipolare, che colpisce dal 2 al 5 per cento della popolazione, è una grave patologia: se non è curato, il tasso di suicidi fra le persone affette oscilla fra il 15 e il 25 per cento. Il farmaco d’elezione è il litio, ma non tutti i pazienti rispondono alla sua azione. In questi casi si ricorre quindi a farmaci stabilizzatori dell’umore, antipsicotici, antidepressivi, che però spesso attenuano soltanto gli episodi depressivi o quelli maniacali, ma non entrambi
Finora non era chiaro se lo sviluppo di questa patologia e/o la mancata risposta al litio fossero legati a un problema di tipo cellulare. Jerome Mertens e colleghi hanno sfruttato la tecnica delle staminali pluripotenti indotte (iPSC) per dirimere la questione: hanno prelevato cellule staminali dalla pelle di sei pazienti affetti da disturbo bipolare e da soggetti sani per riprogrammarle e farle differenziare in neuroni dell’ippocampo, una struttura cerebrale coinvolta nello sviluppo del disturbo.
I ricercatori hanno scoperto che stimoli leggeri che non influivano sull’attività dei neuroni delle persone sane erano in grado invece di attivare moltissimo i neuroni dei sei pazienti, neuroni che mostravano anche un’attività più
elevata dei mitocondri, le “centrali energetiche” delle cellule.
Le cellule cerebrali dei sei pazienti – tre dei quali rispondevano bene alla terapia con il litio, e tre no – sono state quindi esposte ai sali di litio. E’ così emerso che mentre i neuroni dei pazienti che rispondevano alla terapia mostravano una riduzione dell’eccitabilità dopo l’esposizione al litio, gli altri continuavano a essere ipereccitabili.
La scoperta non spiega ancora perché il litio funzioni in alcuni pazienti e non in altri, ma offre un punto di partenza per studiare le differenze tra le cellule che rispondono al farmaco e quelle che non rispondono e realizzare uno screening più efficace sui potenziali farmaci.
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