ma solo la metà di chi ne è affetto la vive come una vera e propria patologia che si può curare
Guarigione non è più una parola tabù, almeno in psichiatria. È un obiettivo che in molte patologie complesse, come ad esempio nella depressione maggiore, è raggiungibile nella grande maggioranza dei casi. A fronte delle concrete possibilità di cura esistenti, a livello internazionale, si segnala però un problema fondamentale: il cosiddetto “treatment gap”, ovvero la “distanza” che tuttora esiste fra ciò che potrebbe essere fatto e ciò che realmente si fa per la cura dei disturbi mentali, inclusi quelli più comuni nella popolazione generale (disturbi depressivi e disturbi d’ansia).
Studio internazionale
A dimostrarlo sono i dati di un grande e recentissimo studio internazionale condotto dall’OMS (Thornichroft et al., Brit. J. Psych., 2017) sulla diffusione del trattamento dei disturbi mentali in 21 Paesi del mondo. Questo studio indica che solo il 23 % delle persone affette da depressione maggiore nei Paesi ad alto reddito (e solo il 2 % in quelli a basso reddito) riceve un trattamento rispondente a criteri minimi di adeguatezza dal punto di vista delle evidenze scientifiche di efficacia. Quanto all’Italia, nello studio si stima che soffra di depressione maggiore circa il 3 % della popolazione . Circa la metà di queste persone non vive la propria depressione come una patologia da curare , a fronte di una media del 65 % negli altri Paesi paesi ad alto reddito che invece si rivolge al medico.In Italia, scarsa conoscenza della malattia
Considerando solo chi ha chiesto di essere curato, il 43 % del campione risultava aver ricevuto trattamenti adeguati percentuale simile a quella degli altri Paesi ad alto reddito, 44 %). Andando a valutare tutto il campione delle persone intervistate, in Italia su 100 persone affette da depressione alla fine solo il 17 % riceve una cura adeguata, 5 punti in meno rispetto alla media riscontrata negli altri Paesi ad alto reddito. Una differenza dovuta in buona parte alla maggiore percentuale di persone che, pur affette da uno stato clinicamente evidente, non percepiscono la depressione come una patologia. I dati indicano dunque da un lato una ancora ridotta conoscenza di cosa sia la depressione, dall’altro l’ancora inadeguato ricorso a cure realmente efficaci.
Il Congresso di Torino
Dal 2013 la SIP sta cercando di stimolare le Istituzioni per dare il via a una campagna nazionale contro la depressione, senza risultati per ora. Di questi problemi, peraltro estesi a tutto l’ambito delle malattie psichiatriche, si parlerà in questi giorni durante il Congresso nazionale della Sip, la Società italiana di psichiatria, in corso al Lingotto di Torino. «Questi dati — spiega Bernardo Carpiniello, presidente SIP e direttore della cattedra di psichiatria all’università di Cagliari — fanno emergere il vero dato chiave: ancora oggi una percentuale molto alta di persone non ricorre alle cure perché la depressione non viene percepita, anche quando evidente, come patologia da curare. Non solo. Anche quando ci si rende conto del bisogno di essere aiutati, spesso non si ricevono le terapie più adeguate al caso, col risultato finale che solo un’esigua minoranza delle persone che avrebbero bisogno di cure risulta adeguatamente seguita. E pensare che oggi la depressione maggiore può essere guarita nel 70 per cento dei casi. Guarigione è un termine che non si usa mai con leggerezza, ma in questo caso possiamo farlo senza timore».
I disturbi d’ansia
«Analoghi risultati — ribadisce Claudio Mencacci, past president SIP e direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano — sono stati riscontrati nello studio dell’OMS che ha riguardato i disturbi d’ansia (che in Italia colpisce in un anno il 6,5% della popolazione), per i quali appena il 30% riceve una qualche forma di trattamento, e solo il 9% una cura adeguata (Alonso et al, Depression and Anxiety, 2018). Questi dati dimostrano che ancora oggi l’obbiettivo è far sì che la popolazione conosca e riconosca questi disturbi come tali, superi la paura di essere stigmatizzata e discriminata e acceda a cure adeguate. Dal 2013 la SIP sta cercando di stimolare le Istituzioni per dare il via a una campagna nazionale contro la depressione. Ci auguriamo che questa fase politica possa consentirci di realizzarla».
Innovazioni terapeutiche e buona pratica clinica
«Diffondere i risultati dei trattamenti dei disturbi mentali non solo riduce la vergogna e l’isolamento dei pazienti e dei familiari ma incrementa la tenacia della ricerca del buon risultato clinico da parte degli operatori — afferma Enrico Zanalda, segretario della SIP e direttore del dipartimento di salute mentale dell’ASL TO3 –. Appare indispensabile implementare nei dipartimenti di salute mentale le procedure e le innovazioni terapeutiche che consentono la “guarigione” delle persone, sia per le patologie gravi come la schizofrenia e il disturbo bipolare, sia per quelle più comuni come l’ansia e la depressione. Psichiatri ben informati scientificamente che possono utilizzare con maggiore agio e sicurezza gli strumenti terapeutici oggi disponibili, tutelano meglio la salute dei pazienti e il loro stesso rischio di “burn-out” ».>
L’intreccio tra depressione, infarto, tumore
Studi recenti hanno inoltre dimostrato che un trattamento antidepressivo attuato tempestivamente in caso di depressione post-infarto, non solo riesce a migliorare la sintomatologia depressiva ma riduce significativamente (sino al 10%-20%) il rischio di complicanze quali il reinfarto e le aritmie ventricolari . Infarto, ictus, diabete, malattie neurologiche e oncologiche sono in grado di far “schizzare” i normali tassi di prevalenza di depressione dal 5% fino al 40% . Non solo. Vale anche il meccanismo inverso: soffrire di depressione maggiore, specie se ricorrente, come nella maggioranza dei casi (60/70%), è sicuramente un fattore di rischio di sviluppo di queste malattie: la depressione aumenta, ad esempio, la probabilità di infarto di circa 3 volte .
I fenomeni fisiologici in gioco
I fattori in gioco sono solo in parte noti. Nella persona con depressione avvengono fenomeni biologici correlati in vario modo alla genesi dell’ischemia del miocardio: l’aumento costante del cortisolo nel sangue dovuto all’iperattivazione del sistema dello stress (asse ipotalamo-ipofisi-surrene), l’aumento dell’aggregazione delle piastrine, l’attivazione del meccanismo dell’infiammazione con l’aumento delle citochine infiammatorie, e lo sbilanciamento dell’equilibrio fra sistema simpatico e parasimpatico a favore del primo, con effetti sia sul tono dei vasi coronarici che sul ritmo cardiaco.
I meccanismi psicologici
La depressione può peraltro insorgere come conseguenza di un infarto, evento che accade nel 20-30% degli infartuati già nelle prime due-quattro settimane. In altre malattie, come ad esempio i tumori, la comorbilitàLa comorbilità o comorbidità in ambito medico indica la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo. Il termine può riferirsi a due o più patologie che coesistono simultaneamente ma indipendentemente l’una dall’altra, oppure riferirsi a patologie che compaiono secondariamente all’insorgenza di una patologia di fondo. In psichiatria il concetto non indica obbligatoriamente due malattie distinte, ma anche la possibilità di più diagnosi nello stesso paziente in base ai sintomi presentati. con una depressione, oltre che peggiorare drammaticamente la qualità della vita e aumentare il rischio di suicidio, determina un significativo accorciamento dei tempi di sopravvivenza, sia per meccanismi biologici diretti (soprattutto la riduzione delle difese immunitarie), sia per meccanismi indiretti ( la riduzione della osservanza delle cure prescritte, dei controlli periodici da eseguire). Ad esempio, una recente metanalisi ha dimostrato che la depressione aumenta di circa 2 volte la probabilità di non aderenza alla terapia nelle pazienti con cancro del seno.
Comportamenti a rischio
«La depressione – aggiunge Carpiniello – aumenta, inoltre, il rischio di cardiopatia ischemica non solo in modo diretto, ma anche attraverso meccanismi indiretti, comportamentali: eccessi dietetici, eccessivo uso di tabacco, sedentarietà. La depressione può peraltro insorgere come conseguenza di un infarto, evento che accade nel 20-30% degli infartuati già nelle prime due-quattro settimane. Anche in questo caso le conseguenze possono essere drammatiche: diversi studi, più volte replicati, dimostrano che la presenza di depressione aumenta di tre-quattro volte la mortalità a distanza di sei mesi dall’infarto, che passa dal 2-4% al 5-16% circa».
Ictus e depressione
«La persona affetta da ictus, specie se viene prevalentemente colpito il lobo frontale sinistro — prosegue Zanalda, segretario nazionale SIP –— va incontro a depressione nel 30% circa dei casi e in questa situazione non solo raddoppia il rischio di mortalità per complicanze, ma viene rallentato o reso meno efficace il recupero funzionale con la riabilitazione neuromotoria».
Le donne più a rischio
Esiste anche un problema di genere, evidenziato da numerose ricerche tra cui una dell’Osservatorio ONDa e la SIP. «Per quanto riguarda le patologie cardiovascolari — spiega Claudio Mencacci — sappiamo che sono la causa di oltre un terzo delle morti nel genere femminile, e che fumo e diabete espongono a queste patologie soprattutto le donne. La comorbidità tra depressione e malattie cardiovascolari sarà la prima causa di disabilità al mondo già nel 2020, e le donne avranno un rischio doppio. Tra i pazienti ‘cardiologici’ la prevalenza di depressione è doppia nelle donne, e a sua volta la depressione è fattore di rischio per infarto e morte cardiaca. .
Curare la depressione per curare la malattia fisica
In sostanza, la medicina moderna ha preso atto della grandissima importanza del rapporto bidirezionale fra malattie fisiche e depressione e del ruolo fondamentale del riconoscimento e del trattamento precoce di quest’ultima allo scopo di migliorare l’esito della stessa malattia fisica. «Ad esempio – conclude Carpiniello – è ormai dimostrato che un trattamento antidepressivo attuato tempestivamente in caso di depressione post-infarto, non solo riesce a migliorare la sintomatologia depressiva ma riduce significativamente (sino a valori del 10%-20%) il rischio di complicanze quali il reinfarto e le aritmie ventricolari».
Fonte: Corriere.it
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